Il mondo dell’IT è attraversato periodicamente da diversi trend tecnologici, spesso in grado di ribaltare le certezze consolidate di vendor e operatori del settore. Quello che da alcuni anni sta cambiando in maniera trasversale i vari segmenti del comparto IT è senza dubbio il cloud computing, parola ricorrente in qualsiasi articolo e convegno che abbia a che fare con l’Information Technology. Il motivo è chiaro: le diverse stime di mercato evidenziano, anche per quanto riguarda l’Italia, un crescente ruolo del cloud a discapito della tradizionale modalità on premise. Ma il cloud cos’è? Siamo sicuri di saperlo per davvero, ovvero di conoscerne funzionamento, vantaggi e modalità? In questi casi è d’obbligo partire con una definizione che permetta di circoscrivere il campo. Una molto chiara è proposta da Microsoft, che con il suo servizio Azure e Office 365 ha dimostrato di capirci qualche cosa di cloud: secondo la casa di Redmond il cloud computing è “la distribuzione di servizi di calcolo, come server, risorse di archiviazione, database, rete, software, analisi e molto altro, tramite Internet (“il cloud”). Le società che offrono questi servizi di calcolo sono dette provider di servizi cloud e in genere addebitano un costo per i servizi di cloud computing in base all’utilizzo, in modo analogo alle spese domestiche per acqua o elettricità”.
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Cosa si può fare con il cloud
Da questa semplice definizione è chiaro che il cloud ha a che fare con una molteplicità di applicazioni e strumenti, che possono essere sfruttate dall’utente finale senza bisogno di installare fisicamente qualcosa. Per sfruttare la nuvola è sufficiente infatti posserdere un device (dallo smartphone al laptop) e un accesso a Internet. Infatti chi è connesso al cloud, sfruttando Internet, gestisce da remoto le risorse offerte dal provider, seguendo questo paradigma di utilizzo, i servizi IT si trasformano da on premise a on demand. Anhe i semplici utenti privati entrano quotidianamente in contatto con quella che è la più “antica” ed elementare forma di cloud, vale a dire l’email, che risponde perfettamente alle indicazioni della definizione abbozzata in precedenza: infatti la casella di posta elettronica, a prescindere dal provider, è un servizio accessibile da qualunque dispositivo connesso a Internet ed è fruibile senza bisogno di installazioni o quant’altro. Sulla base di questo schema tutti quanti noi fruiamo di servizi cloud per ascoltare musica o guardare film su Internet (il cosiddetto streaming), oppure per archiviare immagini o altri tipi di file senza doverli per forza conservare sul proprio dispositivo. In buona parte questi servizi cloud destinati al consumer sono gratuiti, dunque è chiaro che il volume di affari crescente della nuvola è soprattutto legato al mondo aziendale, che sempre di più utilizza le potenzialità dei servizi di cloud computing per aumentare la propria produttività. Sono infatti tantissime le cose che si possono fare grazie al cloud: ad esempio creare nuovi servizi e applicazioni, archiviare i propri dati ed eseguirne il backup e il ripristino, ospitare siti Web e blog, fornire software on demand, analizzare i dati (Data analytics) per ricavarne modelli ed eseguire stime e tanto altro ancora.
I benefici del cloud
È vero, d’altra parte, che questi servizi potrebbero in linea teorica essere fruiti on premise, ossia con un software installato localmente nel proprio parco hardware. Anzi, si può dire che sino a una dozzina di anni fa era questa l’unica modalità possibile per l’IT. Allora perché si sceglie in misura crescente il cloud? Perché ci sono tutta una serie di vantaggi, economici e di produttività. Quello più semplice da percepire, da parte di un’azienda, è la possibilità di usufruire in maniera rapida di risorse IT flessibili e a basso costo. In particolare, con il cloud computing non è necessario effettuare grandi investimenti in infrastruttura hardware o dedicare molto tempo a impegnative attività di gestione dell’hardware. Al contrario, è possibile effettuare il provisioning delle risorse di elaborazione in base a esigenze specifiche, ad esempio per sviluppare un’idea nuova, anche perché il pagamento è legato all’utilizzo effettivo. Emblematico è il caso di Pokemon GO, il celebre gioco sviluppato dalla Niantic e che si è appoggiato su un’architettura cloud, che ha risposto appieno alle esigenze di flessibilità. In effetti nei primi mesi l’applicazione in questione è stata utilizzata da centinaia di milioni di persone, numero diminuito poi drasticamente con il passare del tempo. Se la Niantic avesse dovuto acquistare risorse hardware dedicate per coprire la domanda iniziale, probabilmente a quest’ora sarebbe già in fallimento. Con il cloud, invece, è stato sufficiente rinunciare progressivamente a occupare spazio sul cloud man mano che diminuivano gli utenti. La nuvola si fonda infatti sul modello del Pay per Use: gli utilizzatori pagano solo in base all’uso effettivo, con contratti che possono essere spesso definiti su base mensile. Dunque, per dirla, in maniera più “formale”, Il cloud computing elimina le spese di capitale associate all’acquisto di hardware e software e alla configurazione e alla gestione di data center locali, che richiedono rack di server, elettricità 24 ore su 24 per alimentazione e raffreddamento ed esperti IT per la gestione dell’infrastruttura, con vantaggi importanti in termini di costi.
La velocità del cloud al servizio del business
Non trascurabile è anche l’aspetto velocità: installare fisicamente delle risorse hardware e software in azienda richiede mesi di tempo, a voler essere ottimisti. Tempistiche che, al giorno d’oggi, sono difficilmente compatibili con la rapidità del business moderno, mentre grazie al cloud è possibile ottenere dal proprio provider grandi quantità di risorse di calcolo in pochi minuti, in genere con pochi click. Senza contare che più grandi servizi di cloud computing vengono eseguiti su una rete mondiale di data center sicuri, aggiornati regolarmente all’ultima generazione di hardware, dunque in linea teorica più veloci ed efficienti. Ultimo ma non meno importante, affidarsi a un servizio cloud offerto da terzi, permette a un’azienda di risparmiare tempo e risorse preziose dedicate alle attività IT, che tipicamente sono il mezzo e non il fine del business. Insomma, il cloud computing offre infatti l’opportunità di dedicarsi ai clienti anziché alla gestione dei dispositivi hardware e al funzionamento dei server.
Quale cloud? Iaas, Saas o Paas?
Ovviamente parlare di cloud in linea generale rischia di essere un po’ fuorviante, data l’ampia categoria di servizi che racchiude questa formula. Per questo motivo è meglio distinguere tra tre diversi tipi di servizi cloud: IaaS (IaaS, Infrastructure as a Service), PaaS (Platform as a Service) e SaaS( Software as a Service). Le soluzioni Iaas sono quelle tipiche del cloud computing: con una soluzione IaaS, infatti, in buona sostanza si affitta l’infrastruttura IT, ovvero server e macchine virtuali (VM), risorse di archiviazione, reti e sistemi operativi, da un provider di servizi cloud con pagamento in base al consumo. Diverso è l’ambito del Paas, che si riferisce a servizi di cloud computing che forniscono un ambiente on demand per lo sviluppo, il test, la distribuzione e la gestione di applicazioni software. In questo modo gli sviluppatori hanno la possibilità di creare in modo più semplice e rapido app Web o per dispositivi mobili, senza doversi preoccupare della configurazione o della gestione dell’infrastruttura sottostante. Negli ultimi anni, specie in settori storicamente sofware based come quello della sicurezza, sta prendendo piede anche la modalità SaaS (Software as a Service), che tecnicamente può essere intesa come un metodo per la distribuzione di applicazioni software tramite Internet, on demand. Con una soluzione SaaS, i provider di servizi cloud ospitano e gestiscono l’applicazione software e l’infrastruttura sottostante e si occupano delle attività di manutenzione, come gli aggiornamenti software e l’applicazione di patch di protezione.
Cloud privato, pubblico e ibrido: come scegliere
Altrettanto importante è la distinzione che riguarda la modalità di distribuzione delle risorse di cloud computing. Attraverso questa classificazione è possibile distinguere tra cloud pubblico, privato e ibrido.
La modalità più classica è quella del cloud pubblico: in buona sostanza con un cloud pubblico, hardware, software e altra infrastruttura di supporto sono tutti di proprietà del provider di servizi cloud e gestiti da esso, con l’utente finale che ne fruisce esclusivamente tramite Internet. AWS, Azure e Google offrono tipicamente questo genere di servizio. Che è perfetto soprattutto per le piccole realtà o per giovani aziende che hanno ben poco da portarsi indietro alle spalle. Più complicato, invece, è che una scelta di questo tipo sia adottata da una grande multinazionale per il complesso del proprio bagaglio IT, di norma ricco di applicazioni sviluppate nel corso dei decenni e non sempre compatibile con le modalità del cloud.
L’unicità del cloud privato
L’alternativa adottata da molte organizzazioni è quella perciò del cloud privato, ovvero un particolare modello di cloud computing che prevede un ambiente distinto e sicuro su cui può operare solo un cliente specifico. In buona sostanza i cloud privati offrono la capacità di elaborazione come servizio all’interno di un ambiente virtualizzato, utilizzando un bacino sottostante di risorse fisiche di elaborazione. Tuttavia, con il modello del cloud privato, il cloud (bacino di risorse) è accessibile da una sola organizzazione, che avrà un maggiore controllo e la massima privacy e sicurezza. Perché, se è vero che cloud pubblici possono adottare un determinato livello di sicurezza, quelli privati, facendo ricorso a bacini distinti di risorse con accesso limitato alle connessioni protette dal firewall di un’organizzazione, linee dedicate in affitto e/o hosting interno in loco, possono garantire che le operazioni siano al riparo da occhi indiscreti. Particolarmente importante è il tema del controllo, che per diversi anni ha rappresentato la principale barriera contro l’adozione del cloud: il private è accessibile da parte di un’unica organizzazione, che dunque potrà configurarlo e gestirlo online in base alle sue necessità per ottenere una soluzione di rete personalizzata.
La mediazione del cloud ibrido
Infine c’è una terza opzione, quella del cloud ibrido, che consente la condivisione di dati e applicazioni tra i due tipi di cloud, offrendo alle aziende maggiore flessibilità e più opzioni di distribuzione. Il vero vantaggio è che le organizzazioni possono usufruire della flessibilità e della potenza di elaborazione del cloud pubblico per le attività di elaborazione di base non sensibili, mantenendo i dati e applicazioni aziendali strategiche e in locale, protetti da un firewall aziendale. Ad esempio un’impresa potrebbe adottare il cloud hosting ibrido per ospitare il proprio sito web di e-commerce all’interno di un cloud privato, dove è sicuro e scalabile, tenendo invece il sito vetrina su un cloud pubblico, che assicura maggiore convenienza (e non richiede la massima attenzione alla sicurezza).
Le criticità del cloud
Tutto oro quello che luccica nel cloud allora? In realtà, nonostante tutti i vantaggi che abbiamo descritto in precedenza, anche la nuvola presenta delle criticità che è bene conoscere. La prima, ovviamente, riguarda la disponibilità di banda larga: è evidente che se un’azienda non può contare su una connessione Internet performante diventa complicato spostare infrastrutture e servizi su cloud. Un problema che era particolarmente importante agli esordi del cloud, una decina di anni fa, ma che ancora oggi è presente nella realtà italiana. Molto spesso, inoltre, i Cio aziendali lamentano livelli di servizio del cloud non corrispondenti alle attese o a quanto concordato nei contratti (i cosiddetti Service Level Agreement), che tra l’altro – in caso di problemi – sono spesso meno chiari di quanto desiderato dall’utente. Altri problemi riguardano la perdita di controllo citata in precedenza, nonché la visibilità limitata sulla propria infrastruttura. Infine c’è il tema del vendor lock in del cloud: decidere di cambiare fornitore di servizi cloud da un altro, oppure tornare on premise, può essere terribilmente complicato, considerato anche lo sviluppo continuo di piattaforme e servizi effettuato dai grandi provider di servizi cloud, che rischia di rendere molto “dipendenti” gli utilizzatori finali.
Il Cloud è alla base dei servizi IoT
Il Cloud ad esempio, è senza dubbio la piattaforma infrastrutturale che rende possibile il funzionamento dei moderni sistemi IoT e degli smart Building che popolano sempre di più le nostre città. Senza infatti la scalabilità e la flessibilità assicurata dalla nuvola sarebbe impossibile pensare di mettere in campo servizi di questo tipo. Per approfondire questo tema è possibile leggere l’articolo pubblicato sul sito IoTEdge.it.
Cloud: le opportunità per i System Integrator
Da almeno un decennio a questa parte i System Integrator si sono ritagliati un ruolo chiave, erogando servizi a revenue ricorrenti partendo dal monitoraggio e dalla gestione degli asset aziendali. Con il cloud, i system integrator, alle competenze già acquisite ne hanno aggiunte di nuove, in particolare nel brokeraggio di servizi cloud, nell’elaborazione di offerte di integrazione, nella capacità di gestire infrastrutture legacy e servizi cloud. Quando si parla di Hybrid cloud, l’opportunità per i system integrator è innanzi tutto quella di imparare e poi applicare un nuovo modello di data integration, che tenga conto di quello che risiede sui data center legacy e di quello che invece viene portato sui cloud ibridi. Per conoscere i passaggi che ogni System integrator dovrebbe adottare per padroneggiare al meglio la rivoluzione cloud è possibile consultare questo articolo.