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Che cosa significa veramente digital transformation? In estrema sintesi significa utilizzare una combinazione di diverse soluzioni tecnologiche, nelle loro varie accezioni chiamate: automazione, informatizzazione, virtualizzazione, cloud, mobile, Unified Communication and Collaboration e Internet of Things.
Oggi, però, si usa un unico termine: digitalizzazione. Il termine riassume un approccio finalizzato a ragionare di massima convergenza tra sistemi e flussi informativi, proprietari o affidati a partner, che corrono attraverso le reti, passando dal Web.
L’obiettivo? Semplificare la maggior parte dei processi aziendali, dematerializzando e riducendo ridondanze ed errori legati ad attività manuali non strategiche. Digital transformation significa anche integrazione tra tutti gli stakeholder aziendali: sol così infatti si può abilitare quella collaboration che aiuta le persone a condividere i dati e a lavorare in maniera più sinergica e armonica evitando, grazie a componenti più automatizzate, inutili attese, interferenze ed errori tipici di una gestione manuale.
I vantaggi di questa innovazione pervasiva, che sta coinvolgendo in vario modo il mondo della produzione e dei servizi, sono molteplici: maggiore efficienza, miglior operatività a costi più contenuti e una velocità inedita del rilascio di soluzioni, prodotti e servizi.
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Digital transformation ….ma di cosa?
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Le espressioni Digital Transformation o Digital Disruption non hanno tuttora un significato univoco. A seconda degli ambiti applicativi e normativi, ma anche delle competenze necessarie, le sfumature di senso cambiano, facendo riferimento a diversi framework: c’è chi sottointende una decisa omnicanalità, chi sposa l’interattività, c’è chi preferisce riferirsi a un approccio bimodale e chi ragiona di iperconvergenza, altri preferiscono parlare genericamente di innovazione e altri ancora cavalcano il tema della business disruption. Sempre e in ogni caso, si tratta di scegliere un cambiamento di vision e di strategia. Le aziende sanno che c’è poco tempo per tergiversare, aspettando di vedere quali sono i trend di riferimento per evitare di sbagliare. Eppure ci sono ancora diversi freni alla digital transformation. Il motivo? La necessità di dover innestare reingegnerizzazioni importanti: per le grandi aziende, come per le Pmi o gli studi professionali, significa rivedere processi operativi interni, ma anche le modalità di interazione con i clienti e i fornitori. Implica anche il dover progettare nuovi prodotti e servizi digitali, veicolati su nuovi canali online e offline con chiavi di sicurezza estremamente più complesse, e capacità di analisi dei dati digitali molto più integrate e spinte.
Tutto questo, con l’eventualità di coniugare il mondo off line con il mondo online, gestendo infrastrutture, sistemi, applicazioni e servizi in maniera estremamente più flessibile e dinamica, grazie alle nuove logiche dell’As a Service e del Pay per Use inaugurate dall’evoluzione sempre più spinta della virtualizzazione e del cloud. Non a caso, da più parti del mondo, osservatori e analisti considerano universalmente la trasformazione digitale come uno dei più importanti trend del nostro tempo.
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Il canale come alter ego digitale del business
Implementare tecnologie di automazione nei sistemi IT delle imprese non è sufficiente a creare la magia della digital transformation. Per innovare il modo di lavorare e di produrre, stabilendo rapporti più proficui sia nel B2B che nel B2C, aiutando le aziende a diventare davvero più competitive, bisogna aiutare le persone che lavorano nelle organizzazioni a cambiare le proprie vision e a potenziarle. L’approccio bimodale, infatti, non significa solo governare la vita digitale e analogica delle aziende. Il mondo informatico è binario e pare duale anche la strategia.
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- Da un lato, è necessario scegliere o sviluppare tecnologie adatte al contesto aziendale, attraverso protocolli, interfacce, soluizoni e sistemi che aiutino a far coesistere le soluzioni pregresse con quelle nuove. Il back end del business è fatto di architetture e sistemi da integrare, governare e proteggere.
- Dall’altro, bisogna migliorare la user experience, secondo concetti di interattività estremamente più standardizzati, intuitivi, rapidi e flessibili. La digital transformation, infatti, ha un asso nella manica: una tracciabilità e uno scouting analitico dei comportamenti e dei flussi di dati che offrono informazioni importanti a supporto del sistema decisionale ma ad ogni nuovo aggiornamento non si può far perdere tempo alle risorse per ricominciare a usare tasti funzione e menu come se non ci fosse domani. L’interaction design, infatti, deve diventare un asset fondante dello sviluppo (perché anche l’utente IT è un cliente).
Il canale, nel suo ruolo di provider tecnologico e di system integrator, deve calarsi in ogni singola realtà per aiutare le imprese a ripensare, riprogettare, integrare in modo nuovo la tecnologia, innestandola sui processi di business. La digital disruption non riguarda semplicemente l’implementazione di tecnologie innovative all’interno di un’organizzazione, ma è piuttosto la capacità e l’opportunità di fare le cose in maniera diversa, attraverso le nuove funzionalità e servizi che queste tecnologie abilitano. Per gli operatori e i provider, si tratta di lavorare su nuovi paradigmi che impongono necessariamente un significativo cambiamento di mentalità sia nell’approcciare le aziende, sia nell’approcciare la scelta delle tecnologie.
L’obiettivo è trasformare gli operatori del canale, da semplici rivenditori di pacchetti software o di ferro, a consulenti e fornitori di soluzioni e servizi digitali a tutto tondo, facendoli diventare, in qualità di alter ego aziendali specializzati nella risoluzione dei processi IT, dei veri e propri partner digitali.