Il suo sogno non realizzato è l’Everest. Ma ad Antonello Morina non manca la tempra, la tenacia e la voglia dello scalatore che guarda sempre verso l’alto. E l’ha dimostrato facendo impresa tech: da ESA Software nel 1982 a Impresoft, un gruppo da oltre 200 milioni di fatturato con oltre 25 sedi in Italia e una significativa presenza internazionale nato dall’aggregazione di più realtà software e servizi IT.
Un pioniere dell’informatica in Italia, Morina, che ha vissuto da protagonista il mercato degli ultimi 40 anni. “Io sono un industriale, che ama la sua azienda, ma anche un imprenditore che ha sempre creato posti di lavoro e soluzioni per i clienti. È nello sviluppo che vedo la realizzazione della mia missione. Ho sempre lavorato tanto e ho fatto anche sempre tantissime cose, tanti sport. Ma torno sempre in azienda”.
In questa intervista esclusiva a Techcompany360, Antonello Morina, da Rimini, classe 1957, racconta la strada fatta verso la Impresoft di oggi (dove è CEO di Formula, una delle aziende del Gruppo), che diventa una lettura dei cambiamenti nel mondo delle tech company, con uno sguardo verso il futuro prossimo.
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Morina, come ha cominciato a soli 25 anni?
“Sono stato fra i fondatori di ESA Software nell’82 assieme ad altri più grandi di me. Ero un po’ il “bocia” del gruppo, diciamo. Poi alcuni compagni di viaggio si sono persi strada facendo e sono andato avanti da solo: dalla fine degli anni ’80 fino al 2008 divento così proprietario, presidente, amministratore delegato e anche qualcosa di più. Quindi, mi sono ritrovato a essere un protagonista della scena dell’informatica gestionale per molto tempo. La mia storia personale coincide con un’intera generazione di macchine della microinformatica: da Apple II e Olivetti fino a tutta l’epopea dei PC compatibili e degli Unix su microprocessore Motorola 68000. Usavamo quelle macchine in maniera veramente fantasiosa”.
Nasce come ingegnere, era uno smanettone?
“Ingegnere mancato, perché per l’avventura imprenditoriale non terminai l’università. Ero uno smanettone, un giovane appassionato. Eravamo un po’ tutti, a quell’epoca, molto appassionati, in maniera diversa da adesso. In quell’epoca c’era una forte associazione di hardware e software. Giravamo con le schede, con i dischi in tasca, con sistemi operativi primordiali, linguaggi che non funzionavano, i primi database relazionali. Durante la settimana lavorativa si cercava di portare avanti il lavoro con i clienti. Poi ci si vedeva il sabato mattina, fino anche a tardo pomeriggio, per giocare, per collegare queste macchine piuttosto che per fare i esperimenti, senza rubare il tempo al lavoro”.
A spingervi c’era una vera passione per le macchine…
“Altroché! Quando comprammo il primo Mac, non ha idea di cosa successe: a fine giornata tutti gli impiegati, i programmatori, si fermavano a giocare qualche ora con il Mac perché era una cosa nuova, che stupiva. C’era una passione incredibile”.
Lei ha studiato a Bologna ma la sua città resta Rimini…
“Sono di Rimini, la mia società è nata a Rimini. ESA Software è di Rimini e a Rimini facemmo anche nascere, involontariamente, tante altre società perché con tutti i fuoriusciti creammo cultura e poi un vero distretto. Ci sono tante software house, concorrenti e no, che sono nate da quella esperienza”.
Stiamo parlando dell’era pre-Internet, sostanzialmente. E soprattutto lei diceva una cosa interessante: l’hardware era molto più visibile.
“Sì, adesso non è che non esiste più, però è meno visibile. Tutto si è molto spostato sulla parte software. Nessuno si porta più dietro le schede, l’hard disk, tutte quelle cose”.
Questo ha cambiato qualcosa nel modo di fare impresa?
“Diciamo che sì, con l’evoluzione è finita l’epoca dei tuttologi. C’è più ordine, un po’ come nella sanità: il cardiologo non ti cura la gola o gli occhi. Ciascuno segue una determinata disciplina, una competenza specifica. Le competenze sono sempre più spinte, soprattutto sui processi. I processi a cui sono legati le funzionalità che vengono sviluppate, oppure che sono da imbrigliare attraverso ERP internazionali – che sono sempre molto complessi – sono da configurare al meglio partendo da un workflow”.
Ecco, prendiamo SAP, ad esempio…
“Esatto. SAP c’è chi lo sa implementare più velocemente e meglio, in maniera più aderente ai bisogni del determinato cliente, e chi ci riesce meno. Il codice di base è sempre quello, però poi cambia l’applicazione e il modo di farla. Un tempo il software era, se vuole, più semplice. Era per alcuni versi più complesso da sviluppare, per le difficoltà intrinseche della tecnologia, per i limiti della tecnologia. Però era anche più semplice come estensione. Oggi la parametrizzazione significa portare la complessità a un livello estremo”.
Perché c’è un livello di adattabilità superiore che aumenta la complessità...
“Esatto. Quando veniva richiesta una modifica, facevo la personalizzazione attraverso il codice. Quindi era molto più semplice. Oggi probabilmente c’è anche un altro motivo di complessità: prima si partiva da zero, le aziende non avevano nulla. Adesso devi lavorare di integrazioni, di evoluzioni. Difficilmente si parte da zero. Siamo alla seconda, terza, quarta meccanizzazione. Spesso nel mondo ERP un cambio è sempre qualcosa di sempre più complesso, difficoltoso, con progetti che durano diversi anni. Cambiare l’ERP è forse più complesso che cambiare moglie”.
Il vostro posizionamento si è consolidato proprio come signori del gestionale, degli ERP. Quella è rimasta la vostra specializzazione?
“Diciamo di sì, ma dipende da come vogliamo guardare il Gruppo. Sicuramente il progetto Impresoft nasce con al centro il mondo ERP, perché il mondo ERP ha alcuni vantaggi. Il primo è creare un rapporto di lungo termine con i clienti. Se entri in un’azienda – specie nelle medio-grandi – resti suo fornitore perché impari a conoscerla, perché ha implementato nel tempo tante cose e diventi un interlocutore privilegiato”.
E su questa base di fiducia diventa più facile estendere l’offerta, no?
“Esatto. Su queste basi, sul fatto che ci si confronta nel lungo tempo, è più facile immaginare di poter estendere attorno all’offerta ERP tutta una serie di dipartimentali che sono venuti fuori anche negli ultimi anni, come per esempio il CRM. È un mondo che contempla un arricchimento continuo in funzione dei bisogni del cliente. Anche di quelli di cui non ha consapevolezza, perché in un determinato momento non c’è ancora la tecnologia capace di soddisfarli. Però l’ERP fornisce il motore dell’azienda, rimane sempre lì. Su questo non c’è discussione”.
Il mercato dell’ICT è cresciuto ma è diventato anche più complesso, non crede?
“Senz’altro è molto più complesso e frammentato di bisogni. Questa cosa ha portato anche alla nascita, alla crescita di mercati di nicchia. Oggi però c’è un ripensamento e quindi si sta andando verso una polarizzazione. Società come la nostra mettono insieme non solo la parte ERP, ma anche tutta una serie di dipartimentali e quindi di competenze che vanno a completare l’offerta per il cliente. Noi abbiamo immaginato un contenitore con al centro l’ERP, senz’altro, che si chiama Unica e che contempla un’offerta piuttosto ordinata, che contempla diverse soluzioni per soddisfare tutti i bisogni del cliente”.
A fine 2021 il fondo di private equity Clessidra è entrato nel capitale di Impresoft: si è chiuso un ciclo e se n’è aperto uno nuovo. Per un imprenditore è una svolta importante: che cosa è cambiato in questi quattro anni?
“Innanzitutto, è stato fatto un grande lavoro di riorganizzazione. Ma, quel che conta, è che l’ingresso di un fondo porta una consapevolezza diversa, soprattutto rispetto alla prospettiva e quindi agli investimenti possibili. Il fondo, se vuole, potrebbe avere il difetto di lavorare e farti lavorare sempre guardando l’orologio, di interpretare i cicli sempre con la necessità di produrre risultati nell’immediato. Non hai mai tempo di fare le cose come vorresti, magari lasciandole decantare in qualche caso come sarebbe necessario, per esempio, quando fai molte acquisizioni e hai bisogno di armonizzare culture, tecnologie, persone. I fondi stanno dentro 3-5 anni e poi guardano altrove.
Da una parte la velocità e la pressione sui risultati, ma dall’altra ci sono anche i vantaggi, altrimenti nessuno aprirebbe la porta ai fondi, no?
“Certo, e il primo vantaggio è la consapevolezza di non essere da solo e di avere alle spalle un partner che ti assicura la possibilità di fare determinate cose, di sognare, di andare più sicuro sul mercato. Perché, con un fondo che scommette su di me, posso dire: ‘Guarda che se vieni con me ti assicuro che tu sarai contento perché rimani padrone della tua azienda, però entri dentro in un gruppo che ti assicura sinergie, organizzazione, controllo e non sei più da solo, tu e la tua società’. E fa la differenza, soprattutto nei momenti difficili, come è stato nella stagione del Covid”.
L’imprenditore in un sistema più grande, quindi, fa meno fatica?
“Sì, è un lavoro un po’ più rilassato e può essere anche più ambizioso sulla crescita della sua creatura. Perché alla fine un imprenditore vuole vedere crescere la sua azienda, questa è la sua missione”.
Quest’anno Impresoft supererà i 200 milioni di fatturato?
“Stiamo veleggiando verso i 250 e non abbiamo in mente acquisizioni importanti. Quindi si tratta soprattutto di una crescita organica”.
Le società acquisite da Impresoft mantengono la loro identità dentro il gruppo o vengono fuse?
“Non diciamo ”se entri, ti fondo”. Non è la regola. Le riorganizziamo per comparti omogenei e per accorpamenti progressivi. Le fusioni vengono realizzate nel tempo. In questo senso abbiamo lavorato per i famosi quattro centri di competenza: la parte ERP cosiddetta e collaterale, con Business Application e Business Solution; Smart Manufacturing che è una parte molto vicina e comprendeva il MES, sistemi APS, PMS e quant’altro; poi abbiamo la parte Customer First, che sarebbe la parte di customer engagement, CRM, mondo e-commerce e soluzioni per il cliente, per la vendita sostanzialmente. E per finire il mondo delle infrastrutture: tecnologie, networking, cybersecurity e artificial intelligence, intesa come tecnologia trasversale”.
Questa organizzazione rispecchia ancora il mercato? Sono in programma cambiamenti?
Il cambiamento è una costante, per questo guardiamo sempre avanti e cerchiamo le modalità più efficaci per evolvere. Per una tech company l’obiettivo è rispecchiare l’evoluzione del mercato, dove i confini tra ambiti e competenze sono sempre meno definiti, puntando su una maggiore flessibilità interna. L’intelligenza artificiale, con la sua natura trasversale, contribuisce ad abbattere le barriere tradizionali tra CRM, gestionali e altri sistemi, aprendo la strada a nuovi modi di creare valore.
Questo è molto interessante…
“L’idea è di riorganizzarsi in base al tipo di relazione che ho col mercato… Se diventiamo più flessibili, diventiamo anche più competitivi. Devi avere un modello organizzativo che riesca ad adattarsi quanto più possibile e quanto più velocemente al mercato e alle sue evoluzioni. Pensi un po’: è l’antitesi di quello che era il mondo dei mainframe con i suoi modelli monolitici”.
Tutto è cambiato ma ci sono state di mezzo due grandi rivoluzioni. Quando lei ha cominciato eravamo nell’era pre-Internet, poi è arrivato Internet. Adesso è arrivata l’intelligenza artificiale. Due cambiamenti importanti.
“Molto importanti, perché hanno cambiato e cambiano proprio tutto. Come diceva Larry Ellison a quell’epoca, magari ci sono state tecnologie che da un certo punto di vista sono state più importanti – parlavamo del microprocessore, ma pensi all’interfaccia utente grafica, i database relazionali – ma Internet ha finito per avvolgere e sconvolgere tutto. E tutte le applicazioni sono state tutte ridisegnate per permettere all’utente di fruirle nella maniera più semplice. E noi abbiamo lavorato per renderlo possibile”.
È stata una rivoluzione che ha coinvolto più il consumatore, noi tutti.
Sì, il B2C forse ne ha beneficiato di più. Lei è più andato in banca negli ultimi anni? Il libretto degli assegni non esiste più. Le rivoluzioni sono tutte consumer, come è accaduto anche con ChatGPT. Ma sia Internet sia la GenAI hanno cambiato e stanno cambiando anche anche il business. Una forza vendita adesso può fare molte più cose di prima e le può fare ovunque si trovi. Quindi prima Internet e oggi l’AI hanno cambiato molte cose anche per le aziende e, quindi, per le imprese come la nostra che forniscono servizi alle aziende”.
Diceva che l’intelligenza artificiale vi sta spingendo a rivedere la vostra organizzazione perché è trasversale a tutte le tecnologie e tutti i segmenti di mercato. Ma cosa sta cambiando, al di là della tecnologia, nel vostro lavoro e nel vostro modo di proporvi al mercato?
“Guardi, siamo stati precursori nel pensare all’intelligenza artificiale come enancement delle attività umane, investendo nello sviluppo di applicazioni di AI con AI agent e motore di Ai predittiva. Questo ci ha permesso di comprendere e toccare con mano le potenzialità prima utilizzandola nel nostro lavoro (supporto customer care e supporto alla conoscenza specialistica) e quindi di investire ancora di più in nuove soluzioni pensate per il miglioramento concreto e trasversale nei processi aziendali. L’AI quindi pensata come leva strategica per i nostri clienti e non come aggiunta di tecnologia in offerta. Putroppo il mercato ha travisato l’utilizzo, immaginando AI come la facile risoluzione, senza comprenderne la complessità.
Davvero?
“Questo è il punto. È come avere un macigno sopra la testa, lo vedi che sta cadendo, però ancora non cade. Vedi che diventa sempre più grande perché si avvicina, come una minaccia ma anche come un’opportunità Non sempre abbiamo le idee chiare, ma sappiamo che è li”.
Che cosa bisogna fare per non farsi schiacciare da questo macigno?
“Comprendere, per quanto possibile. Bisogna comprendere che beneficio possiamo offrire ai nostri clienti nel momento stesso che i clienti esprimono un bisogno. Dobbiamo rivedere un pochino i paradigmi con cui abbiamo disegnato le applicazioni, le soluzioni e tutti i processi. Questo è un po’ il discorso di base. È un po’ come è stato con Internet: è cambiato tutto. Internet, permettendo di portare l’informazione ovunque e a chiunque, ha prodotto una disintermediazione generale. L’AI porterà a una profonda rivisitazione di tutti i processi”.
E come vede lei questa rivisitazione?
“Una parte continueremo a farli così come abbiamo fatto finora, ma con nuovi ausili che ridurranno la fatica e aumenteranno la produttività. In altri casi invece ci sarà una forte disintermediazione dell’azione umana. Quello che vedremo è che, a livello generali, tutti i processi diventeranno più leggeri ed esprimeranno valori che ancora oggi non riusciamo a comprendere perché non li conosciamo e non li immaginiamo”.
È solo una sfida tecnologica?
“No, come Internet, l’intelligenza artificiale è una tecnologia, che cambia tutto il modo di vivere, non solo di lavorare. Non parliamo solo di business, ma della nostra vita quotidiana”.
Oggi si parla molto di “talenti”, di competenze nuove da portare nelle aziende. Si dice che l’Italia ha bravi ingegneri, però mancano gli sviluppatori. È vero?
“La parola talenti è spesso utilizzato in maniera impropria. Si parla di persone, le chiamano talenti, ma non sono tutti talenti e non devono neanche esserlo. Al giorno d’oggi abbiamo bisogno di persone formate il più possibile. C’è scarsità? Sì. Da cosa dipende? C’è un fattore demografico – ci sono sempre meno giovani – e c’è un progressivo abbassamento della qualità della formazione universitaria. Se mettiamo insieme le due cose, capiamo dove sta il problema”.
Quindi quelli che sono in azienda bisogna tenerseli stretti.
“Sì, soprattutto gli anziani. Devo dire, nel mio settore che è quello del mondo dei processi, degli ERP, delle aziende, le persone un po’ più mature hanno avuto la possibilità di cimentarsi all’interno delle aziende come non sarà mai più possibile fare al giorno d’oggi. Mai. Pensi che esperienza hanno maturato quelle persone! Quindi largo ai giovani, ma non dimentichiamo il valore delle figure senior: io non li mando via mai, anzi cerco di trattenerli con tutta la forza, anche perché se il clima è buono, il ricambio generazionale avviene meglio e alimenta più velocemente un serbatoio di nuovi consulenti più pronti. Andare insieme a una figura senior vuol dire tanto per un giovane, mi creda”.









