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Guidare le aziende nell’era dell’AI: la visione globale di Abhijit Dubey (NTT Data)



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Il racconto di Dubey sulla sua esperienza di CEO di NTT Data offre uno sguardo sul valore della leadership umile nelle organizzazioni globali. Dalle origini in quattro continenti al rapporto con l’impostor syndrome, fino all’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro, emergono riflessioni concrete su come guidare culture complesse nell’era dei grandi cambiamenti

Pubblicato il 2 dic 2025



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Nel corso di un dialogo approfondito con Tammy Sors all’interno del podcast Catalyst, Abhijit Dubey, CEO di NTT Data, ha condiviso un insieme articolato di riflessioni sulla guida di organizzazioni estese e multiculturali, sul rapporto tra esperienze personali e stile manageriale e sul ruolo dell’intelligenza artificiale nella trasformazione del lavoro. Il racconto di Dubey unisce dimensione biografica, visione strategica e attenzione alle persone, delineando una prospettiva in cui la leadership umile diventa un principio operativo, più che un tratto caratteriale.  

Un percorso globale tra culture, industrie e trasformazioni

Dubey descrive sé stesso come «un cittadino del mondo», avendo vissuto e lavorato in quattro continenti. Nato e cresciuto in India, racconta un’infanzia caratterizzata da «origini umili» e valori familiari centrati sull’integrità. Prima degli studi negli Stati Uniti, ha lavorato nel settore petrolifero nel Sahara algerino, esperienza che definisce «incredibile» e utile a maturare rapidamente, nonostante le condizioni difficili. Dopo il trasferimento negli Stati Uniti in piena stagione dotcom, ha scelto la consulenza mentre molti suoi coetanei si orientavano verso le startup.

Quella che avrebbe dovuto essere un’esperienza biennale si è trasformata in oltre vent’anni trascorsi in McKinsey, dove ha lavorato con aziende tecnologiche globali, inclusa NTT.

Questo bagaglio eterogeneo ha plasmato una visione manageriale che lega i traguardi professionali a un senso di responsabilità personale. Dubey afferma che le persone che hanno avuto opportunità significative «hanno il dovere di generare impatto», nelle aziende tanto quanto nella società. L’integrità rimane per lui un punto fermo: «È una delle cose che tengo più care».

Perché l’umiltà è una competenza essenziale nella leadership globale

Dubey considera l’umiltà una virtù indispensabile per creare connessioni autentiche all’interno di grandi organizzazioni. Secondo lui i leader che vengono ricordati sono quelli che «guidano con grazia e umiltà». Questa prospettiva si traduce nella necessità di rimanere «con i piedi per terra», qualità che consente di mantenere un rapporto diretto con persone, culture e sensibilità differenti.

NTT Data conta circa 150mila persone e, come ricorda, integra ancora culture provenienti da diverse aziende del gruppo. In un contesto così vasto e in evoluzione, la definizione e l’adozione condivisa dei valori rappresenta una sfida continua. Dubey racconta l’esperienza precedente all’interno di un’altra società di NTT, dove la definizione dei valori aziendali era avvenuta tramite un processo «immersivo e di co-creazione», con il coinvolgimento ampio di funzioni e livelli.

Un approccio che considera fondamentale affinché le persone «sentano di avere voce» nella cultura aziendale.

Coerenza quotidiana e momenti di verità

Per Dubey i valori non possono restare dichiarazioni teoriche. Devono essere vissuti e resi visibili dai leader, che hanno la responsabilità di «chiamare i comportamenti non coerenti» e rendere chiari gli effetti delle azioni che non rispettano gli standard condivisi.

Una parte cruciale della leadership umile risiede nei «momenti di verità» che segnano la vita delle aziende: decisioni difficili in cui i leader devono mostrare ciò che guida davvero l’organizzazione, anche quando la scelta può apparire sfavorevole nel breve periodo. Sono queste occasioni – afferma – a rendere i valori credibili agli occhi delle persone.

Impostor syndrome: quando anche un CEO deve imparare da zero

Dubey racconta senza esitazioni di aver vissuto un periodo evidente di impostor syndrome, soprattutto nei primi mesi dopo il suo arrivo alla guida di NTT Data. La ragione, spiega, è semplice: provenendo dalla consulenza, non aveva esperienza diretta nella gestione operativa di un’azienda da 10 miliardi di dollari. Il passaggio improvviso a un ruolo esecutivo di tale portata è stato, a suo dire, «non semplice».

Entrare in un contesto ricco di decisioni operative quotidiane senza avere pattern passati a cui riferirsi lo ha portato a sentirsi privo degli strumenti necessari. «La maggior parte di noi è brava quanto il proprio insieme di esperienze», osserva. E quando mancano esperienze analoghe, il margine di incertezza cresce rapidamente.

Strategie per gestire l’incertezza

Dubey descrive tre strumenti principali che lo hanno aiutato. Il primo riguarda il valore delle domande. «Mai sottovalutare il valore delle buone domande», afferma, sottolineando come questo approccio gli abbia permesso di orientarsi rapidamente e comprendere dinamiche di business complesse.

Il secondo è il ricorso alla rete professionale. Senza condividere informazioni riservate, ha cercato opinioni da persone con esperienze rilevanti, ma sempre facendo in modo di non affidarsi a una sola fonte: aveva bisogno di una «triangolazione» che lo aiutasse a leggere la situazione da prospettive diverse.

Il terzo elemento riguarda la consapevolezza dei propri limiti. Dubey considera fondamentale individuare le aree in cui un leader può eccellere e quelle in cui è necessario essere supportati. «Nessun leader è bravo in tutto», ricorda, spiegando come la costruzione di un team «forte e complementare» sia parte integrante della responsabilità manageriale.

Un ulteriore aspetto della leadership umile è l’ammissione degli errori. Dubey non esita a riconoscere quando una decisione si rivela sbagliata, sia nei casi che coinvolgono persone sia in scelte strategiche.

In passato ha dichiarato pubblicamente, davanti al suo top management, quando alcune iniziative non erano andate come previsto: «È perfettamente normale. La cosa importante è cosa abbiamo imparato».

Parlare, ascoltare, chiarire: la leadership come comunicazione attiva

Nelle organizzazioni di grandi dimensioni ciò che un leader dice conta. Ma secondo Dubey, ciò che un leader non dice può avere un peso ancora maggiore. Le persone interpretano silenzi, omissioni o temi non affrontati come segnali di direzione. Ogni collega, afferma, può costruire una propria interpretazione diversa, motivo per cui la comunicazione deve essere il più possibile chiara e accessibile.

Per questo, durante le visite nei vari Paesi o negli incontri globali, Dubey evita i discorsi preparati e preferisce dedicare tutto il tempo al dialogo aperto con le persone. Affronta ogni domanda, anche le più complesse o ripetitive, perché «l’incertezza è la cosa peggiore che si possa lasciare a un’organizzazione». Se un tema viene sollevato più volte, è un indicatore che necessita chiarezza.

La ripetizione dei messaggi non è un difetto, ma una necessità: secondo Dubey occorre ribadire un concetto «almeno sette volte» perché venga davvero assorbito.

L’intelligenza artificiale e la trasformazione del lavoro

Accanto al tema della leadership umile, una parte importante della conversazione riguarda l’evoluzione dell’intelligenza artificiale e il suo impatto sulle organizzazioni. Dubey ritiene che l’AI sarà «più grande di Internet», ricordando gli anni della rivoluzione dotcom vissuti in prima persona. A suo avviso il 2025 rappresenta un punto di svolta, l’anno in cui l’uso degli agenti AI – o «agentics» – inizierà a trasformare realmente processi e modelli operativi.

Il ruolo degli agenti AI nelle organizzazioni

La tecnologia si muove, secondo Dubey, «più velocemente della nostra capacità di assorbirla». Nel mondo aziendale immagina un futuro con migliaia di agenti AI che lavoreranno accanto alle persone, contribuendo ad ampliare capacità produttive e velocità decisionale. Arriva a ipotizzare uno scenario composto da «150mila colleghi e 50mila agenti», un modello ibrido che potrebbe ridefinire l’organizzazione del lavoro.

Ciò che oggi manca, sottolinea, è una riflessione su come integrare questi agenti nella vita aziendale. Se esistono processi strutturati per reclutamento, formazione e sviluppo delle persone, non esistono ancora modelli analoghi per gli agenti AI. Da qui una domanda cruciale: come si “on boarda” un agente nell’ambiente aziendale? La risposta, per ora, è aperta.  

Creatività, potenzialità e limiti delle aziende

Dubey evidenzia come l’AI stia ampliando il potenziale creativo e operativo delle imprese. Molte delle idee considerate futuristiche, come esperienze personalizzate che si adattano all’immagine dell’utente o flussi d’acquisto completamente vocali, sono già realizzabili oggi grazie allo sviluppo accelerato dei modelli generativi.

Il settore tecnologico, osserva, sta vivendo una dinamica simile a quella dell’era Internet: grandi investimenti, una probabile fase di ridimensionamento e la successiva emersione di nuovi protagonisti globali.

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