Analisi

Santini: un effetto moltiplicatore per chi investe nel cloud con Microsoft

Il Direttore della Divisione Global Partner Solutions di Microsoft Italia presenta i risultati di una indagine condotta da IDC sui partner europei della società. In media, per ogni dollaro di tecnologia venduta, ci sono 6,70 dollari aggiuntivi in servizi e prodotti del partner. Premiato chi investe in cloud e IP

Pubblicato il 22 Dic 2022

Maria Teresa Della Mura

Fabio Santini, Direttore della Divisione One Commercial Partner di Microsoft Italia

A distanza di tre anni dalla precedente analoga iniziativa, Microsoft torna a misurare il valore economico della partnership per gli attori del proprio ecosistema attraverso una ricerca condotta in collaborazione con IDC e intitolata “Opportunità dell’ecosistema Microsoft: Percorsi dei partner per la redditività e la crescita”.
Un report che mette in evidenza quali siano le effettive opportunità di crescita, in particolare per chi decide di investire nell’adozione di servizi cloud.
Secondo lo studio – ne anticipiamo subito le evidenze finali – per ogni dollaro fatturato da Microsoft, i partner in Europa generano in media 6,70 dollari. Una cifra che è di per sé un indicatore dell’effetto moltiplicatore della partnership, visto che, concretamente, questo significa che “per ogni dollaro di ricavi di vendita dei partner legato ad attività Microsoft, i clienti acquistano in media altri 6,70 dollari di servizi e prodotti del partner”.
Ma prima di addentrarsi nella disamina dei dati emersi dallo studio, Fabio Santini, Direttore della Divisione Global Partner Solutions di Microsoft Italia, puntualizza lo scenario nel quale si inserisce la ricerca di IDC, in particolare nel nostro Paese.

“Sicuramente oggi c’è molta più consapevolezza rispetto al fatto che il business sul cloud genera revenue ricorrenti. È vero anche che la stessa Microsoft in questi anni ha radicalmente cambiato il modello con cui il software viene venduto e pagato, muovendosi verso un modello a subscription”.
Secondo Santini, il fatto di aver costruito un modello di valore sulle recurring revenue costituisce oggi il differenziale per i partner che in passato dipendevano molto di più dall’economia di mercato: “Uno zoccolo duro di revenue ricorrenti dà alle imprese dei partner maggiore sostenibilità”, sostiene.

Italia: un mercato che tiene nonostante lo scenario complesso

E questo aspetto è ancor più importante in uno scenario non certo semplice qual è quello attuale.
Perché se è vero che le realtà di più gradi dimensioni non hanno rallentato gli investimenti, ma anzi considerano la tecnologia come una opportunità di innovare a un costo accettabile rispetto ad altre voci di spesa, altrettanto non si può dire per le realtà più piccole.
“Le piccolissime imprese hanno rallentato – spiega Santini – ed è naturale dal punto di vista della gestione dei costi”.
“In Italia – prosegue il manager – il mercato dei device è sceso del 30%. Questo è un dato che per noi è sempre stato un po’ la cartina di tornasole per capire come andavano le piccole imprese. Se lì c’è decrescita, allora vuol dire le che piccola impresa sta soffrendo e sta aspettando”.
Complessivamente, però, la percezione è che oggi il mercato stia tenendo, segno forse che la tecnologia viene percepita non come una tassa ma come un asset.
“I nostri partner continuano a crescere, segno che c’è un mercato che ha bisogno e questo a prescindere dall’industria di riferimento. Notiamo una crescita lineare su tutti i comparti. Per questo abbiamo ritenuto importante tornare a chiedere ai nostri partner quale sia il valore della partnership con noi”.

L’analisi di IDC: il 77 per cento dei partner europei di Microsoft cresce

L’indagine è stata condotta su 300 partner in tutta Europa, ripartiti, per tipologia, tra chi distribuisce software, chi è orientato ai servizi e vende consulenza, progetti, servizi a valore con un business model basato sulla vendita di tempo uomo, e chi scrive IP. Su 50 di questi partner è stata effettuata una analisi più approfondita, con una intervista diretta al loro amministratore delegato. Per l’Italia, i partner sui quali è stata condotta l’indagine più approfondita sono stati Coreview, Techdge e Trueblue.

Si parla di partner, di realtà imprenditoriali, che operano in un mercato – quello dei servizi cloud – destinato secondo IDC a raggiungere i 13 miliardi di dollari entro il 2026 e che in Italia su muove su tassi di crescita media del 23%.
Un mercato che vede ancora oggi la componente SaaS in crescita molto forte, grazie al time più market più rapido, ma che vede molti operatori in modo attento sia sulle progettualità più complesse sia sull’accurata gestione dei costi.
“Va detto che chi produce software a sottoscrizione ha una gestione dei costi interessante. Non è un caso che gli ISV spingano per tenere il loro software sul loro tenant: più sono bravi a ottimizzare la gestione del cloud più guadagnano. E i clienti guardano con favore a questo approccio per un insieme di ragioni. Perché lo SLA è a carico del partner, per la sicurezza e perché demandano di fatto il carico dell’innovazione agli stessi ISV”, spiega Santini.
In generale, dallo studio emerge come i partner europei registrino un andamento positivo: il 77% ha aumentato il proprio business e solo il 6 per cento ha registrato un calo. Cresce, è un dato di fatto, chi aggiunge valore alla rivendita, ma in ogni caso il 90% degli interpellati prevede di chiudere questo 2022 con una crescita media del 19%.
“Una crescita che potrebbe essere molto più alta, se non ci fosse un problema di talent acquisition. Non è un problema di mercato, ma un problema di risorse”, spiega Santini, sottolineando come solo nel nostro Paese manchino 150.000 posti di lavoro nell’IT.

Il valore moltiplicatore della partnership con Microsoft

Dalla ricerca emerge in modo chiaro come gli operatori cerchino modi diversi di stare sul mercato.
In genere gli ISV sono gli attori maggiormente concentrati sul proprio business: sviluppano software e non hanno risorse e competenze per fare altro, come consulenza o progetti. Le altre tipologie di partner tendono in genere a lavorare su più fronti: rivendita e servizi.
Secondo lo studio i partner con un’attenzione maggiore alla proprietà intellettuale generano margini più elevati: “il valore economico generato da Microsoft per le realtà software-led si attesta a 7,86 dollari, mentre per le aziende focalizzate sui servizi si afferma a 5,75 dollari. […]  Sono, inoltre, i partner orientati ai servizi e al software a operare con i margini lordi più alti sull’attività Microsoft, rispettivamente del 26% e del 32%, rispetto al 18% dei partner orientati alla rivendita”.
Se dunque i partner che mettono a frutto la loro proprietà intellettuale beneficiano delle opportunità legate a co-selling, co-innovation e sviluppo di software e servizi personalizzati, i partner orientati esclusivamente alla distribuzione – sempre meno nell’ecosistema della società – hanno meno benefici, come attesta il moltiplicatore pari a 2,21 dollari..

La complessità del multicloud

“Dalla ricerca emerge chiaramente che chi cresce di più è chi è orientato al software ed è quella l’area dove ci stiamo concentrando”, spiega Santini, aggiungendo che “La region datacenter che apriremo in Italia aiuterà a sviluppare un certo tipo di progettualità finora non possibili”.
Al momento, secondo Santini, ci sono in Italia un migliaio di rivenditori che vendono cloud Microsoft, il 75% dei quali portati a bordo nell’ultimo anno.
Un numero che naturalmente la società intende incrementare, anche se è chiaro che vi sia una forte competizione, soprattutto da parte degli altri hyperscaler.
“I partner che lavorano in modo intenzionale insieme a Microsoft crescono di più rispetto a chi si muove da solo, anche in considerazione del fatto che la presenza internazionale di Microsoft può aiutare il cross sell anche in altri Paesi”, sostiene Santini, che punta tuttavia il riflettore anche su un ulteriore dato che emerge dalla ricerca.
Secondo IDC, per i partner la logica multivendor è più costosa.
“È vero che i grandi clienti sono per definizione multicloud, ma mano a mano che si scende dimensionalmente il multicloud diventa meno interessante. Per tacer del fatto che anche chi sceglie il multicloud assegna a ogni task il suo cloud: uno per i dati, uno per i processi… C’è un tema di gestione della complessità che non può essere trascurato”.

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