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VEM Sistemi: per l’Italia la Brexit può essere un’opportunità

Secondo l’amministratore delegato del Gruppo, Stefano Bossi, l’universo delle start up potrebbe abbandonare il Regno Unito. Limitate, invece, le conseguenze sui costi della logistica

Pubblicato il 07 Lug 2016

Gianluigi Torchiani

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Stefano Bossi, amministratore delegato di VEM Sistemi

La Brexit è destinata a produrre conseguenze soltanto per il mondo dei vendor e dei distributori IT, ma avrà anche degli impatti sugli operatori del canale. Alcuni spunti ce li ha forniti Stefano Bossi, amministratore delegato di VEM Sistemi, azienda di Forlì specializzata nella fornitura di Servizi IT alle medie imprese nazionali. A partire innanzitutto dal possibile spostamento delle principali sedi europee degli operatori IT dalla Gran Bretagna a un Paese dell’Europa continentale: «È ancora presto per prevedere se gli operatori IT si sposteranno dalla Gran Bretagna, quello che possiamo constatare oggi è come la Gran Bretagna sia diventata meno attraente per i nuovi operatori che vogliono investire in Europa. Lo scacchiere internazionale si sta ridisegnando, soprattutto Paesi come Francia, Italia e Germania potrebbero attivarsi per cogliere questa opportunità ».

Opportunità che, però, non devono far dimenticare i possibili contraccolpi derivanti da un evento di portata così epocale, in particolare quelli di tipo indiretto: «Una buona fetta del mercato di Londra è di tipo finanziario, i cui investimenti hanno forti ripercussioni sulle startup. Consideriamo che le startup nate nel 2014 in UK sono state oltre 25000, un terzo delle quali fondate da cittadini stranieri. (Anche questo mercato diventerà meno attrattivo e si creerà un’occasione per gli altri Paesi che dovranno esser in grado di coglierlo). Un altro aspetto critico e che avrà un impatto nel breve termine riguarda il problema della giurisdizione sui dati e della localizzazione e modalità di gestione dei datacenter. Il GDPR (General Data Protection Regulation, il nuovo Regolamento UE in materia di protezione dei dati personali), ad esempio, sarà un grosso inibitore per il mercato UK, esso agevolerà o addirittura renderà necessaria la fruizione di servizi in cloud (privato, pubblico o ibrido) all’interno dei datacenter UE27. Come detto, è uno scenario in rapida evoluzione, se da un lato ci troviamo di fronte ad annunci come quello di Vodafone che sta valutando se traslocare al di fuori da UK, dall’altro il Governo Britannico non resterà a guardare e metterà in atto delle contromosse, come la dichiarazione di questi giorni sull’intenzione di abbassare le tasse per le imprese», spiega il numero uno di VEM Sistemi.

Che offre una chiave di lettura molto interessante sul possibile aumento dei costi della logistica legato alla Brexit, argomento che ovviamente interessa da vicino il canale IT. «Molti dei distributori IT da cui ci approvvigioniamo hanno casa madre Tedesca o Inglese e gran parte di quelli con sede in UK, già prima della Brexit, avevano adottato la strategia di portare i poli logistici nella UE a 27. Da qui a 12-24 mesi, chi non ha ancora adottato questa strategia è molto probabile che lo farà. Per quanto riguarda la parte di importazione da vendor americani, quelli di riferimento di VEM sistemi, già prima si appoggiavano in Olanda, quindi a meno di una “Dutchexit” non prevediamo un effetto “dazi” sull’import di tecnologia ICT. Lavoriamo anche con multinazionali Francesi e Coreane, anche in questo caso non influenzate direttamente dalla Brexit. Ovviamente, è possibile che anche la Gran Bretagna possa raggiungere un accordo per restare nello spazio economico Europeo come Norvegia o Svizzera, che non prevedono dazi sulle merci, mentre il problema potrebbe sussistere per lo scambio di figure professionali (tasse sull’attività)», conclude Bossi.

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