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Come funziona il software che ha truccato le auto Volkswagen

Volkswagen tarocca le centraline e inganna i test: Lo scandalo che sta travolgendo in questi giorni il produttore tedesco è stato reso possibile da una manipolazione del codice proprietario. Su cui non esistevano veri e propri controlli

Pubblicato il 25 Set 2015

Gianluigi Torchiani

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Volkswagen 3

La notizia che in questi giorni sta tenendo banco su tutte le prime pagine dei giornali è, senza dubbio, quella dello scandalo Volkswagen. Che, messa sotto accusa da parte dell’Agenzia federale americana per la protezione dell’ambiente (Epa), ha dovuto ammettere di avere truccato i test di controllo delle emissioni di sostanze inquinanti di alcuni dei suoi veicoli a diesel venduti tra il 2009 e il 2015. Si parla di ben undici milioni di vetture commercializzate e ora l’indagine minaccia di estendersi anche a livello europeo. Un aspetto che non è stato probabilmente preso adeguatamente in considerazione è che, a permettere l’imbroglio, è stato un software fraudolento, capace di abbassare i valori in occasione dei controlli.

Come si legge nel comunicato ufficiale diffuso dalla stessa Epa, grazie a un algoritmo sofisticato installato sui veicoli “incriminati” era possibile rilevare quando la macchina era in fase di test ufficiali di emissioni, spingendola così rispettare i rigidi parametri ambientali stabiliti dall’ente americano. Dunque le automobili soddisfacevano alla perfezione gli standard di emissioni nella stazione di laboratorio o di prove, ma, durante il normale funzionamento su strada, emettevano ossidi di azoto o NOx fino a 40 volte quanto consentito dalla norma. Ma da dove arriva questo software? Nello scandalo non è coinvolta nessuna azienda nota dell’informatica, perché il software – che gestiva a una parte importante delle funzioni delle automobili – era prodotto dalla stessa Volkswagen. Che quindi ha costruito in proprio il “codice manipalatore”.

Ma come mai nessuno si è accorto di niente per almeno sei anni? Il problema è che, come denunciano alcune associazioni per la libertà informatica, tra cui la Eletronic Frontier Foundation, è che il Digital Millennium Copyright Act vigente negli Usa di fatto ha consentito ai produttori di automobili di impedire qualsiasi controllo del codice di questi software senza esplicito permesso, appellandosi ai diritti di copyright. Insomma, sviluppatori ed esperti non hanno potuto controllare nulla, e ci è voluta l’indagine dell’Epa per scoprire lo scandalo. Dunque è probabile che il caso Volkswagen porti a una svolta anche su questo punto, tanto che in America già si parla di mettere i codici dei software delle auto sotto una “supervisione regolatoria”. Anche perché, come si accennava in precedenza, a parte il tentativo fraudolento di Volkswagen, è evidente che il software sarà sempre più al centro delle moderne smart car. E, come dimostra il recente caso della Jeep Cherokee hackerata, dovranno essere il più possibile sicuri, anche per la protezione dalle sempre possibili minacce esterne. Una questione insomma, troppo delicata, per essere affrontata soltanto in termini di copyright.

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