“Hai mai sentito parlare Larry Ellison negli ultimi tre anni? Vedevi Satya Nadella, Elon Musk, Mark Zuckerberg. Lui zitto. E poi, in settembre, ti firma un accordo da 300 miliardi con OpenAI. Vuol dire che nella navigazione verso l’intelligenza artificiale siamo arrivati sulla terraferma”. Andrea Ruscica, fondatore e CEO di Altea Federation racconta così la fine del tempo dell’incertezza sull’AI. E, indirettamente, spiega l’ultima acquisizione in ordine di tempo: M3G Consulting, realtà italiana specializzata proprio in consulenza applicativa sulle soluzioni Oracle, che consolida il posizionamento del gruppo su questo fronte.
È un visionario Andrea Ruscica, ha costruito e consolidato una tech company specializzata in System Integration & Digital Innovation, che con un modello federativo oggi comprende 28 società (il numero è in continua evoluzione visto il ritmo delle acquisizioni), oltre 2000 persone e un fatturato che quest’anno si avvicinerà ai 250 milioni, con un balzo significativo rispetto ai 200 del 2024.
Come si fa a raggiungere questi risultati partendo da una piccola società di consulenza? “Non mi limito a seguire il mercato, cerco di interpretarlo e anticiparlo. E, soprattutto, ho trasformato le difficoltà in opportunità, cogliendo anche quale rischio. Se vedo qualcosa di interessante procedo velocemente” spiega in questa intervista in cui racconta l’evoluzione di Altea in un mercato dei servizi tecnologici in profondo cambiamento.
Il percorso imprenditoriale di Andrea Ruscica è cominciato nel 1993. Quando e come è arrivata l’idea di trasformare Altea, nata come società di consulenza, in un’azienda tech e poi in una federazione di imprese? Cosa ti ha spinto a fare questo passo?
All’inizio eravamo una società di consulenza, certo, ma già dopo poco mi resi conto che non bastava. Il mondo stava cambiando rapidamente e io volevo più di un semplice ruolo da consulente. Volevo essere parte della trasformazione tecnologica delle aziende, unendo la consulenza alla capacità di implementare soluzioni applicative.
La grande svolta arrivò quando mi avvicinai al mondo degli ERP, strumenti potenti per l’integrazione di tutti i processi aziendali. Ero un perito informatico con la passione per la tecnologia e non appena capii le potenzialità di questa nuova tecnologia, fui travolto dall’idea che finalmente avremmo potuto offrire qualcosa di più di una semplice consulenza. Da lì la visione si è evoluta. Altea doveva essere una piattaforma per l’innovazione, grazie alla quale costruire soluzioni concrete. E così abbiamo iniziato a fare il nostro percorso, che ci ha successivamente portato verso il modello federativo.
Qual è stata la chiave della crescita in un mercato che era già competitivo?
La crescita è stata frutto di una visione e di un’attitudine audace, ma anche di un grandissimo spirito di adattamento. Tra Internet, millenium bug e introduzione dell’Euro nel 2000 siamo lanciatissimi. E cosa succede? Il mio principale partner, Baan, fallisce (era un’azienda olandese che sviluppava soluzioni software ERP. Concorrente di SAP durante gli anni ’90, nel 2003 va in crisi e dopo un travagliato percorso viene integrata nell’americana Infor, ndr.). È un momento di grande incertezza ma, come dice Taleb, il cigno nero può diventare un’opportunità se si reagisce subito e con decisione. Quello è stato per noi il momento giusto per reinventarci.
Decido che non avrei mai più camminato su una sola gamba e quindi comincio a investire su tecnologie che allora per noi erano nuove, alla ricerca di una svolta che potesse fare la differenza. Ricordo quando decisi di investire un milione su SAP e un altro milione su Microsoft. Mi dicevano che stavo facendo un salto nel buio. Ma io non vedevo un salto nel buio, vedevo una possibilità enorme di trasformare il modo in cui le aziende operavano. In poco tempo eravamo tra i primi cinque partner in Italia. La crisi? Era stata solo un’opportunità travestita. La nostra capacità di prendere decisioni rapide, di affrontare le sfide con coraggio, ha fatto la differenza.
Nel 2012 un altro “cambiamento radicale” con il passaggio a un modello federativo. Come sei arrivato ad Altea Federation e qual è stata la forza di questo modello?
Non è stato certo un cambiamento banale. Ma è arrivato quando il nostro modello di consulenza non riusciva più a contenere la potenza delle tecnologie che stavamo integrando. Le aziende che avevano bisogno di innovazione richiedevano soluzioni complete e noi dovevamo essere pronti a offrirle. Ho capito che dovevamo cambiare.
Nel 2012, mi sono reso conto che la crescita non era più sostenibile con il vecchio modello. Eravamo diventati qualcosa di più: un laboratorio di innovazione continua. Ma ci siamo trovati sopraffatti dalla complessità. Eravamo come bambini a cui la mamma ogni mese porta nuovi giocattoli, sempre più sofisticati, e non sanno più con cosa giocare. Avevamo aperto diverse LOB (line of business) ma si era creata, diciamo così, un po’ di confusione. Invece di continuare a crescere in modo disordinato, ho pensato che fosse arrivato il momento di scomporre il tutto in unità più autonome. Ogni unità doveva avere un’identità chiara, una specializzazione, ma dovevano lavorare tutte insieme verso un obiettivo comune. Da lì è nata l’idea della “federazione”. Non è stato un passaggio facile, ma l’ho visto come una forma di resilienza.
In Altea parlate di modello “olonico”. Che cosa vuol dire?
Ho mutuato il modello e il termine dalla biologia, dove i sistemi complessi si scompongono in sottosistemi autonomi decentralizzati che, però, concorrono tutti al fine comune che è quello di far vivere un organismo. Quindi ho creato degli oloni con competenze verticali. Le LOB sono diventate società con un CEO, con la sua accountability e la possibilità di coinvolgere le persone in modo diverso. E questo modello mi ha permesso di attrarre i migliori talenti. Abbiamo dato a ogni unità la responsabilità della propria crescita, ma con il supporto di un’unica governance. La federazione ha dato una carica incredibile. È stato un po’ come se Altea avesse trovato un nuovo respiro. Il bello di quel periodo è che, nonostante i mille errori, abbiamo visto la nostra energia moltiplicarsi.
Ma è aumentata anche la complessità, con il numero di società federate in continuo aumento…
Certamente e in maniera importante. Tanto è vero che ho dovuto controbilanciare la complessità con più governance, metodologie sempre più prescrittive e una formalizzazione dei processi, dalla formazione dei budget ai riesami periodici dei conti. In una sola parola: strutturare, strutturare, strutturare. Oggi è tutto diventato più fluido. Nel 2024 abbiamo “rilasciato” l’ultima business unit e adesso ci sono 130 persone che lavorano esclusivamente per il governo della Federation, dall’amministrazione al marketing, dalla sicurezza al procurement, a beneficio di una popolazione di circa 2100 persone, calcolando le ultime acquisizioni.
L’ingresso del fondo di private equity Chequers Capital, nel 2023, è stato un altro passaggio decisivo. Come sei arrivato alla decisione di aprire le porte dell’azienda a un socio di maggioranza?
Nel 2023 compiamo 30 anni e mi domando: e adesso cosa faccio? Il mercato è cambiato. È sempre stato molto polverizzato, con una maggioranza di microaziende. Ma cominciavamo a vedere movimenti di aggregazione, con la finanza che entrava nelle piccole e medie aziende, facendole crescere velocemente: imprese che erano state dietro di me per decenni me le ritrovavo davanti. Incrocio questo andamento di mercato con l’arrivo dei miei 60 anni e mi dico: è il momento di fare entrare un investitore privato che possa sostenere il nostro modello nel futuro prossimo e anche di mettere un po’ di fieno in cascina dopo 30 anni ininterrotti di lavoro. Dopo ho in ogni caso reinvestito sull’azienda molto di quello che ho realizzato: ho ancora il 32% del capitale.
Come sono cambiati la tua visione di imprenditore e il tuo modo di operare all’interno di Altea dopo l’ingresso del fondo?
L’ingresso del fondo ha rappresentato un’opportunità unica. È stato un cambiamento di paradigma. Ha cambiato tutto, ma senza snaturare quello che eravamo. Inizialmente, ho dovuto fare un grande lavoro su me stesso. Cedere la maggioranza dell’azienda a un fondo significa passare da un modello “familiare” a un modello più strutturato. Ho dovuto rivedere la mia mentalità, capire che non ero più solo il “padrone” della mia azienda, ma il leader di una realtà con degli azionisti. Questo passaggio non è stato semplice, ma è stato fondamentale. Ho dovuto cambiare il mio approccio, capire la terminologia finanziaria, studiare i modelli di LBO (Leverage Buy-Out). Ma è stata un’opportunità di crescita incredibile.
Parli di “cambiamento di paradigma”. In che modo è cambiata la cultura aziendale, specialmente per quanto riguarda il management?
È cambiato il nostro modo di incentivare il management. Prima, tutto si basava sul classico approccio con bonus annuali legati ai risultati di bilancio. Ma quando il fondo è entrato, ho capito che dovevamo incentrare tutto sulla creazione di valore a lungo termine. Così abbiamo iniziato a usare strumenti più sofisticati, come le stock option, per motivare i nostri manager. Questi strumenti non solo li incentivano a fare bene, ma li legano al successo dell’azienda in modo più concreto. Oggi, se un manager ci porta un’azienda che vale 6 milioni di euro e poi la facciamo crescere a 12, il valore che generiamo è distribuito equamente. Non è più solo una questione di andamenti trimestrali, ma di costruire insieme qualcosa che abbia un impatto duraturo.
Guardiamo un momento al futuro: qual è la tua visione per il mercato italiano delle tecnologie e per Altea?
Il mercato italiano è in un momento di grande transizione. La tecnologia non è più un optional, è diventata una leva strategica fondamentale. Non si può più parlare di un buon prodotto senza tecnologia. Ecco perché le aggregazioni sono fondamentali: solo unendo le forze si può rispondere alle nuove esigenze di un mercato che cambia rapidamente. Per Altea Federation il futuro è continuo movimento. Continueremo a crescere, a innovare, a consolidare il nostro modello federativo, ma guardando sempre più all’internazionalizzazione. L’obiettivo non è solo continuare a crescere, ma farlo in modo intelligente, mirato, mantenendo sempre una visione a lungo termine.









