Intervista

Aires: la concorrenza sleale è la ragione della crisi della distribuzione consumer



Davide Rossi, Direttore generale di Aires, mette in evidenza le ragioni che stanno intaccando i margini dei distributori italiani di elettronica di consumo. Un pericolo anche per il mondo B2B

Gianluigi Torchiani

Pubblicato il 04 Mag 2018


Davide Rossi, Direttore Generale di Aires

Il caso Trony, che abbiamo raccontato nelle scorse settimane, ha fatto deflagrare il problema della crisi della distribuzione di elettronica di consumo in Italia. In molti hanno indicato nell’ascesa di Amazon e del commercio elettronico la causa principale di questo stato di difficoltà. Secondo quanto racconta a Digital4Trade Davide Rossi, direttore commerciale di Aires (Associazione Italiana Retailers Elettrodomestici Specializzati) il gigante dell’e-commerce ha le sue responsabilità in questa situazione ma, come sempre accade, le ragioni sono diverse e anche più complesse. E interessano da vicino anche il mondo della distribuzione B2B. «Buona parte dei problemi sono esogeni rispetto al sistema della distribuzione nel nostro Paese. Senz’altro questo comparto possiede da tempo dei difetti tipici, che però hanno comunque sempre consentito lo sviluppo del mercato e della concorrenza. Quest’ultima, in particolare, è una condizione che non ha mai spaventato le nostre imprese. Oggi notiamo che però ora esiste una concorrenza asimmetrica e del tutto sleale, che ha fatto saltare gli equilibri sinora esistenti. Il punto di partenza è che oggi le normative non sono applicate allo stesso modo all’on line e all’offline: ad esempio nel primo caso non esistono dei limiti per il sottocosto, che può essere praticato in qualsiasi momento. Del tutto diverso è invece il discorso per il negozio fisico, che deve sottostare a tutta una serie di comunicazioni per applicare una scontistica di questo tipo. Un’impostazione che vale anche per altri aspetti, come il ritiro dei Raee uno contro zero, una modalità che ovviamente si applica soltanto ai negozi fisici, comportando inevitabilmente maggiori oneri».

Amazon come paravento dei negozi fantasmi

L’altro grande motivo di difficoltà dei distributori nostrani riguarda per l’appunto Amazon che, innanzitutto, può godere di un regime fiscale decisamente più favorevole, pagando le tasse in Paesi diversi dall’Italia. Ma soprattutto dietro l’ombrello del gigante dell’e-commerce ci sono una miriade di piccolissimi operatori, spesso unipersonali, che praticano scontistiche a dir poco stupefacenti, trascinando verso il ribasso i margini dell’intero comparto. Il giudizio di Rossi a proposito è netto: «Si tratta di realtà che normalmente esistono per un paio d’anni, praticano prezzi impossibili e poi spariscono nel nulla, lasciando dietro debiti e problemi vari ai consumatori finali. Non si capisce come queste società riescano a praticare questi prezzi se non omettendo di versare l’Iva…E’ vero che i negozietti di elettronica sono sempre esistiti, il problema è che però oggi questi venditori sono presentati come affidabili dalla piattaforme di commercio elettronico come Amazon. Che percepisce da questi soggetti una cospicua percentuale e dunque ne ha un vantaggio economico immediato. Un grande operatore dovrebbe farsi certe domande su quello che accade nella propria piattaforma, invece notiamo un’assenza totale di risposte».

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L’on line non brilla

Il problema della distribuzione consumer è quindi il commercio elettronico? Anche in questo caso la risposta del direttore generale Aires è più articolata: «Se escludiamo Amazon, gli altri pure player dell’on line non se la passano molto bene in Italia, come dimostrano i dati. D’altra parte la stessa formula on line più negozio fisico – su cui ormai sono orientati i retailer italiani – è un qualcosa su cui sta convergendo anche Amazon, il problema è che i numeri del web insostenibili per via di questo tipo di concorrenza sleale a cui ho fatto riferimento in precedenza e su cui si dovrà assolutamente intervenire. Per questo motivo abbiamo dato vita alla federazione Optima, che ha anche il compito di segnalare alle autorità competenti le possibili violazioni di mercato».

La concentrazione serve a poco

Il problema della distribuzione di elettronica di consumo è insomma, secondo Aires, un problema di cattivi margini, indotti da una distorsione del mercato: in presenza di prezzi eccessivamente bassi tutti gli operatori, on line o offline, cercano di fare altrettanto, con conseguenze che però si pagano sul lungo periodo. I ricavi, invece, sostanzialmente tengono: nel 2017 il mercato ha fatto lo -0,8%, un passo indietro insomma non certo catastrofico. A testimonianza che i consumatori italiani, d’altra parte, restano appassionati di elettronica di consumo e continuano ad acquistarla ancora nei negozi fisici. Un possibile rimedio alla situazione attuale potrebbe essere rappresentato da una maggiore concentrazione di mercato? «Lo sento dire spesso, ma non sono così convinto che il problema sia la presenza di troppe insegne. Tra l’altro questa situazione ha fatto sì che i distributori specializzati abbiano quote di mercato che non si trovano in nessun altro Paese d’Europa (circa il 75% del mercato nazionale). Se fossero di meno, probabilmente non ci sarebbero questi numeri. Non vedo poi grandi risparmi dalla concentrazione, senza considerare che la presenza di molte insegne offre anche un vantaggio al consumatore che può avere una maggiore possibilità di scelte», evidenzia Rossi. Che chiosa allargando la riflessione al mondo business (qui le riflessioni dell’ultima distriboutique): «Sono convinto che questo tipo di problemi possono assolutamente interessare anche la distribuzione B2B, che viene percepito come meno controllabile. Ed è quindi naturalmente esposto a tantissime situazione al limite, creando non pochi problemi ai tantissimi imprenditori seri di questo settore».

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