Sviluppo e ruolo del Fondo

Parmigiani, 4ward: dal venture capital al private equity per supportare la digitalizzazione delle imprese

Una intervista a tutto tondo con Christian Parmigiani, CEO di 4ward e oggi Executive board member di Impresoft: dalla startup che non è mai stata tale alla scelta del venture capital, fino alle sfide di oggi

Pubblicato il 29 Giu 2020

Maria Teresa Della Mura

Christian Parmigiani, Impresoft Group

Non siamo mai stati una startup, nel senso che quando siamo nati di startup non si parlava ancora. Però sì, anche noi abbiamo iniziato in un monolocale e in tre persone, con la missione o forse l’ambizione di creare un modo migliore di vivere e lavorare, aiutando le aziende a sfruttare al meglio le tecnologie innovative”.
Così Christian Parmigiani, CEO di 4ward e oggi Executive board member di Impresoft  racconta gli esordi del suo percorso imprenditoriale in un’azienda che “non si è mai guardata le scarpe, ma ha sempre tenuto lo sguardo verso l’orizzonte, cercando di cogliere e in un certo senso anche anticipare i trend futuri”.
Prima di dar vita a 4ward i tre fondatori, Ivan Fioravanti, David Mascarella e Christian Parmigiani avevano fatto esperienza come consulenti presso altre imprese, per questo i primi passi di 4ward si fondano tutti sul passaparola. Ma fin da subito arriva il passaggio centrale nella storia di questa impresa: “Abbiamo deciso di concentrare tutti i nostri sforzi verso un unico stack tecnologico, vale a dire quello di Microsoft, che  era ed è il vendor di tecnologie di piattaforma che offre più servizi e garanzie dal punto di vista dei partner program”.
A parte la fedeltà a Microsoft, per altro ancora più solida dopo la svolta verso l’open source sancita dall’era Nadella, ciò che caratterizza 4ward è la sua strategia di crescita per piccoli passi: “Per svariati anni ci siamo concentrati su una crescita organica, ma a un certo punto ci siamo resi conto che aziende come le nostre avessero necessità anche di soluzioni e prodotti”.

È il momento del cloud, è il momento di quello che sarebbe poi diventato Office 365, è il momento di scostarsi dal ruolo puro di system integrator.
Il 2014 è l’anno della svolta, con il lancio di Cloud in a Box, nato quasi per caso da una richiesta di un cliente: “Abbiamo cominciato a concentrarci su prodotti che potessero far scala. Oltre a Cloud in a Box abbiamo portato avanti anche tanti esperimenti, alcuni dei quali clamorosamente falliti. Ma anche di questi fallimenti vado fiero, perché dai fallimenti dei progetti che abbiamo tentato di portare sul mercato e che non sono riusciti abbiamo imparato molto di più che dai successi”.

L’esperienza CoreView

È sempre in questo periodo che ha inizio l’esperienza CoreView. Nasce come prodotto, incubato all’interno di 4ward, è cresciuto tanto velocemente da richiedere un team dedicato e un nuovo assetto aziendale: Christian e Andrea Pichler, entrato nel frattempo a bordo, si dedicano alla crescita e allo sviluppo di 4ward, mentre Fioravanti e Mascarella si occupano di CoreView che diventa una vera e propria azienda nell’azienda, con team di vendita, marketing, sviluppo dedicati.
“Una volta acquisita una certa dimensione, abbiamo deciso di enucleare CoreView anche perché basata su un modello di business a subscritpion, con revenue ricorrenti, decisamente diverso rispetto a 4ward”.
Era il momento di accelerare: nuovi competitor si stavano affacciando sul mercato ed era difficile per un’azienda italiana ancora piuttosto piccola tenere il passo con la loro velocità.
La decisione è stata quella di far entrare un fondo di private equity. “La scelta è caduta sulla newyorkese Insight Partners, molto nota nel mondo hitech, e questa decisione ha portato CoreView a una crescita esponenziale e internazionale: il cuore, che definisce la strategia di business e di sviluppo è ancora in Italia, ma il resto è fortemente americano. CoreView è cresciuta anche attraverso ulteriori acquisizioni di realtà che hanno portato il prodotto alla sua attuale maturità. Questa accelerazione con le nostre sole forze non sarebbe stata possibile”.

Verso la nuova 4ward

L’esperienza messa a frutto con CoreView rappresenta per Parmigiani lo spunto per una nuova progettualità, sulla spinta di quanto il mercato chiedeva.
La convergenza, che in concreto poi si traduce nelle progettualità legate al modern workplace, all’Intelligenza Artificiale, alla digital transformation, mette in luce un cambiamento significativo nelle richieste dei clienti.
“La digital transformation porta con sé una convergenza di poli funzionali. Impossibile avere in casa tutto lo stack. Sono le imprese stesse che mettono in fila diversi player per dare vita ai loro progetti, con importanti oneri dal punto di vista della gestione e del coordinamento. Visto che comunque si va verso una convergenza, perché non provare a fare un Build Up, magari affidandoci a un venture capital?”.

Si sviluppano i business plan, analizzando sia le potenzialità di crescita organica di 4ward, sia le potenzialità derivanti da un investimento importante da parte di un fondo, con possibili merge&acquisition.
“Dopo un anno di confronti abbiamo scelto il fondo lussemburghese Xenon, che ci ha presentato un progetto convincente”.
Molto ha giocato a favore della scelta il fatto di essersi ritrovati con persone – Rossano Ziveri, CEO di Impresoft, in primis – con le quali c’erano molte affinità, in termini di valori e di struttura, e una forte complementarietà sul business.
“La scelta che ha portato alla creazione di Impresoft Group nasce da queste basi comuni, dalla percezione di poter trarre vantaggio gli uni dalla presenza degli altri e soprattutto di raggiungere una massa critica per presentarsi con una veste diversa sul mercato. Oggi possiamo siamo un gruppo che fattura 65 milioni di euro, con una struttura di 500 persone. Una sorta di boutique di boutique”.
E se è vero che nei suoi 20 anni di storia 4ward si è trovata spesso a gestire progetti molto complessi per una realtà delle sue dimensioni, oggi Parmigiani riconosce che far parte di un gruppo con una certa storia e determinate dimensioni è un biglietto da visita diverso.
“Abbiamo guadagnato in termini di Trust. Il cliente non deve fare una scommessa su di noi. Senza contare che oggi noi siamo in grado di coprire qualsiasi tipo di bisogno o soluzione, con un catalogo davvero completo”.

Tutto questo in un contesto come quello italiano dove gli aspetti anagrafici hanno ancora un peso importante.
“4ward è un’azienda che ha un’età media di 36 anni. Io ne ho 44. Essere riusciti a fare questi percorsi imprenditoriali così velocemente significa sì che ci abbiamo messo impegno, ma anche che viviamo in un’epoca nella quale ci sono opportunità, perché la tecnologia dà delle marce in più rispetto a quanto non accadesse in passato”.

La continuità con il passato, lo sguardo al futuro

La mission dell’azienda non è cambiata, è cambiato il modo in cui si erogano i servizi.
“Nel suo ultimo libro, The Infinite Game, Simon Sinek sostiene che le imprese che si pongono un obiettivo finito sono in realtà sono quelle con minori possibilità di crescita. Se invece la tua missione è infinita, e la nostra lo è, ogni giorno tu corri verso un traguardo che si sposta un po’ più in là e ti dà lo stimolo per continuare a correre. Migliorare il modo di vivere e di lavorare delle persone è una costante evoluzione: non esiste niente di statico, non esiste un modello che si ripete all’infinito”.

Quanto ai bisogni dei clienti, è chiaro che in due decenni sono cambiati moltissimo, partendo proprio dalla consumerizzazione che ha portato direttamente nelle mani delle persone molta più tecnologia di quanta non ne abbiano in casa le stesse aziende, e dal cambio degli interlocutori, sempre più orientati al Business.
“Ancora oggi le imprese si trovano a rincorrere la tecnologia, soprattutto se ragionano ancora in maniera legacy. Lo abbiamo visto durante l’emergenza COVID-19. Quante si sono trovate in difficoltà a restare operative, perché avevano ancora un installato di PC fissi, senza possibilità di accedervi da remoto. Per troppo tempo le imprese hanno ignorato il fatto che era in atto un cambiamento e che la tecnologia potesse essere un fattore abilitante alla produttività. Abbiamo provato a spiegarlo in maniera soft: oggi alcune sono venute da noi pregandoci di fare in fretta e furia quello che noi da tempo suggerivamo”.

È cambiato anche il modo di interloquire.
“Per giustificare un investimento non si deve più dimostrare cosa fa la tecnologia, ma quali benefici economici può portare. Le dimensioni sulle quali si può lavorare sono sempre le stesse: Look Good, Feel Good, Save Money, Make Money. Se si riesce ad essere efficaci su uno o più di questi aspetti la relazione con il cliente funziona”.
Parmigiani riconosce comunque che c’è molta più complessità rispetto a un passato nel quale, una volta identificato il bisogno, lo era in parte anche la soluzione.
“Oggi i classici processi di awareness, consideration, decision vedono una miriade di stimoli in più rispetto passato: la sfida è essere efficaci e autorevoli, farsi percepire come partner di business e non solo come partner tecnologici”.
Lo scenario stesso porta in questa direzione.
“Se pensiamo all’Artificial Intelligence, alla Robotic Process Automation, a tutto il mondo del Low Code, No Code: ci stiamo muovendo in una direzione nella quale lo sviluppo della parte tecnologica ha sempre meno peso. Bisogna avere in azienda persone che sappiano interpretare un’esigenza di business e sappiano prendere i giusti componenti e metterli assieme per raggiungere l’obiettivo”.
Questo significa, in sintesi, che si sta spostando culturalmente lo skill set delle persone: se cambia l’interlocutore di conseguenza deve cambiare anche chi sta dall’altra parte, altrimenti si parlano lingue diverse.

Verso il New Normal, senza VPN

Cosa è rimasto, secondo Parmigiani, dopo il lockdown e dopo la fase acuta dell’emergenza?
“Sicuramente un nuovo focus sullo smart working. Ci sono ancora moltissime aziende convinte di fare smart working perché hanno una VPN, che è quanto di più Legacy esista al mondo. La sfida vera è cercare di sfruttare questo momento: durante l’emergenza sono stati messi dei cerotti. Ora bisogna toglierli e fare la medicazione come si deve. Bisogna dare consapevolezza che ci sono strumenti sicuri e flessibili che ci permettono di porre le basi per un modo diverso di essere produttivi, mettendo la user experience al centro”.
Un secondo aspetto sul quale c’è molto da lavorare è la digitalizzazione dei processi aziendali.
“La Robotic Process Automation ci porta alla digitalizzazione dei workflow e sfruttando per l’appunto il low code no code lo si può fare anche velocemente. Durante l’emergenza alcune aziende si sono fermate perché non ricevevano gli ordini, dal momento che i loro clienti non potevano firmarli se non a mano. La mancanza di firma digitale è stato uno dei principali freni dell’economia: tutto si basa su processi totalmente analogici”.
E poi c’è l’Intelligenza Artificiale, che Parmigiani considera “l’alba di una nuova rivoluzione che probabilmente sarà anche più importante di quella generata da Internet. L’Artificial Intelligence è la prossima onda che cambierà radicalmente le cose”.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4